domenica 17 maggio 2015

Finiamola con le inesattezze!


Incomincio a essere stufa di leggere tanti travisamenti della realtà.
Un'amica di Facebook ha postato l'altro giorno queste parole


Ecco, c'è da dire che fondamentalmente quanto dice è almeno in parte inesatto..
Si vuol far credere che l'INPS sia in grave deficit esclusivamente a causa delle pensioni erogate ai dipendenti pubblici e delle cosiddette “baby pensioni”.
Non conosco, lo ammetto, la situazione dei dipendenti parastatali, comunali ecc., ma ricordo sufficientemente bene quale fosse la situazione degli statali.
Purtroppo per vari motivi non ho più la raccolta di normative che era il mio pane -del resto la normativapensionistica non era parte delle mie mansioni- posso solo affidarmi alla mia memoria.

All'epoca l'ente previdenziale nel settore statale era l'ENPAS. Offriva assistenza sanitaria (tramite rimborso parziale, tempo dopo, delle spese mediche e farmaceutiche certificate da documentazione: insomma, già si pagava il “ticket”).
Offriva anche prestiti agevolati, tramite il “piccolo prestito” senza particolari requisiti e la “cessione del quinto” per cause documentate (mutuo per la casa, spese universitarie dei figli, spese mediche non coperte e altro).
Ma il compito principale era previdenziale, ovvero il pagamento della pensione a fronte delle contribuzioni versate. Fino ad una certa epoca i conti dell'ENPAS sono sicuramente rimasti in attivo. 

Poi a quanto pare lo Stato ha iniziato a non versare più i contributi dovuti, benché iscritti in Bilancio.

Vedete, in ogni bilancio ci sono alcune voci che fanno parte delle cosiddette "partite di giro": sono cifre stanziate in entrata, provenienti da una fonte ben precisa (nel caso dei contributi previdenziali ed assistenziali provengono dalle ritenute sulla misura lorda degli stipendi dei dipendenti), mentre in uscita devono apparire le stesse identiche cifre, fino al centesimo, da destinare a un ben preciso scopo (nel caso delle ritenute assistenziali e previdenziali, devono essere versate agli Enti previdenziali, per i fini statutari).

Lo Stato invece a quanto pare versava solo la parte direttamente a carico del dipendente, mentre tratteneva la parte che non appare sul cedolino ma che per Legge avrebbe dovuto accantonare a monte del calcolo dello stipendio lordo.

Dove sono finiti i miliardi stanziati per questa voce delle partite di giro e mai trasferiti in uscita agli Enti previdenziali?

credo che le frecce indichino esattamente questo: i contributi versati che ritornano sotto forma di pensione


Intendiamoci, questo comportamento ogni tanto si è scoperto anche nei datori di lavoro privati, infatti è bene che ogni tanto il lavoratore dipendente controlli presso l'INPS la propria situazione contributiva, per non scoprire eventuali "buchi" contributivi quando è ormai troppo tardi anche per far ricorso. A volte anzi si è scoperto che perfino la parte a carico del dipendente, regolarmente ritenuta dal lordo dello stipendio, non era mai stata versata.

(Ora pare che il deficit portato in eredità all'INPS dall'INPDAP si sia colmato)

Nel settore privato esistevano l'INAM (per la Salute) e l'INPS a coprire queste previdenze.
Ora si grida tanto allo scandalo perché l'età pensionabile è stata portata per tutti a 67 anni circa: bene, quando esisteva ancora l'ENPAS e anche dopo, quando è stato sostituito dall'INPDAP, l'età anagrafica richiesta ai dipendenti statali per ottenere la pensione di vecchiaia era di 65 anni, per uomini e donne.
Nella stessa epoca per l'INPS era di 50 anni per le donne e di 55 per gli uomini, portata poi rispettivamente a 60 e 65. (non mi risultano sollevazioni popolari e scioperi per protestare contro questa sperequazione). Ora a poco a poco il divario si va colmando.



Un'altra differenza tra il settore pubblico e il privato era che l'età anagrafica per la pensione di vecchiaia dovesse essere raggiunta nel primo caso in costanza di servizio, mentre per il settore privato un dipendente poteva dimettersi, una volta raggiunto il numero voluto di anni di servizio, ed attendere l'età pensionabile per richiedere la prestazione. Nel caso del settore scuola inoltre il pensionamento poteva essere richiesto solo a fine anno scolastico (attualmente il 31 agosto).

Per la pensione di anzianità (cioè legata al numero di anni di contribuzione) l'ENPAS poi INPDAP richiedeva un minimo di contributi di 19 anni 6 mesi e 1 giorno che calcolati per eccesso figuravano come 20 (come nel settore privato), per le donne sposate o con figli c'era uno “sconto” di 5 anni (esattamente come per tutte le dipendenti nel settore privato) che portavano il requisito a 14 anni 6 mesi e 1 giorno.
Cioè in pratica, mentre nel settore privato il requisito per la pensione di vecchiaia era più favorevole, il requisito per la pensione d'anzianità era quasi identico nel settore pubblico e nel settore privato.
La grande, sostanziale, sperequativa differenza era che nel settore privato la pensione veniva erogata solo al raggiungimento dell'età anagrafica richiesta per la pensione di vecchiaia, mentre nel settore pubblico veniva erogata da subito: questo creò il fenomeno delle baby pensioni. Io stessa ho conosciuto donne andate in pensione nel 1982, con 10 anni 6 mesi e 1 giorno di lavoro effettivo + 4 anni di riscatto della laurea (all'epoca poche centinaia di lire al mese) e con età anagrafica di 35 anni... il calcolo della pensione fino a quell'anno comprendeva la percentuale relativa a 20 anni di lavoro per la voce stipendio e quasi l'intera somma per la voce IIS (indennità integrativa speciale, quella che nel settore privato venne chiamata “la contingenza”)! poiché quest'ultima voce nel settore pubblico faceva la parte del leone nello stipendio in busta, si può capire quanto fosse conveniente questo pre-pensionamento.
A partire da quell'anno però si aggiustò un po' questa ingiustizia, perché anche l'IIS nelle pensioni venne erogata in percentuale sugli anni di contribuzione.
A proposito del riscatto della laurea, voglio ricordare che nel settore pubblico, a differenza che nel settore privato, poteva essere riscattata solo se richiesta dal proprio profilo professionale: per esempio, alcuni miei colleghi collaboratori amministrativi, profilo per cui non è richiesta la laurea, non poterono accedere al riscatto della medesima, pur avendola conseguita.

Penserete che quanto sopra esposto dia ragione all'amica di cui sopra.

Be', non è così. In effetti già ben prima che l'INPDAP ex ENPAS confluisse nell'INPS quest'ultimo aveva deficit spaventosi, vere voragini, mentre l'Ente dei dipendenti pubblici era abbastanza in salute: infatti solo poche migliaia di dipendenti, soprattutto donne, hanno fruito di una baby pensione, mentre dall'altro lato conosco vari casi in cui i dipendenti pubblici hanno chiesto e ottenuto di permanere in servizio fino al conseguimento del numero massimo di anni di contributi (all'epoca 40), anche oltre il raggiungimento dell'età anagrafica per la pensione di vecchiaia (65 anni).

Inoltre nel settore pubblico non esisteva la figura della “cassa integrazione” cui tanto allegramente e disinvoltamente hanno attinto i datori di lavoro del settore privato (vengono subito alla mente Agnelli e De Benedetti, ma ce ne sono stati una miriade). Idem per quanto riguarda l'"indennità di disoccupazione".
Nel settore scuola pubblica, per esempio, ancora all'epoca delle mie dimissioni (1996) un insegnante, pur nominato su posto vacante, veniva retribuito e quindi contribuiva solo dal momento dell'effettiva nomina -in genere ottobre- fino alla fine delle lezioni -fine giugno comprendendo gli scrutini- mentre rimanevano scoperti ai fini retributivi e contributivi i mesi di luglio, agosto e settembre. A quanto mi dicevano, questi docenti precari non avevano accesso alla “indennità di disoccupazione" e ovviamente, non sapendo neppure se sarebbero stati riconfermati nell'anno scolastico successivo, non potevano rischiare di impegnarsi economicamente, per esempio per sposarsi o accendere un mutuo per la casa...

Bene, io credo (ma è confermato da più parti) che la voragine attuale nei conti dell'INPS sia dovuta, oltre che al mancato versamento da parte dello Stato delle quote contributive a suo carico,  da un
lato a questa “cassa integrazione” e le indennità di disoccupazione e dall'altro alle pensioni di falsa invalidità, così comuni almeno fino a quando ero in Italia.
Anche le integrazioni al minimo” di tante pensioni nel settore autonomo sono sicuramente responsabili.

Ricordo, più di vent'anni fa, il nostro meccanico si lamentava di avere una pensione che gli bastava “solo per comprare le sigarette” (evidente esagerazione). Quello che solo accennava era il fatto che per tutti gli anni di lavoro aveva versato contribuzioni ridicole, di poche centinaia di lire mensili (a fronte per esempio delle svariate migliaia di lire mensili a carico dei lavoratori dipendenti): certo, il calcolo dei contributi veniva fatto sul reddito dichiarato ai fini IRPeF, e a quanto pare il tizio si era dimostrato abbastanza timido e reticente in queste dichiarazioni... Ma niente paura, riusciva lo stesso a vivere bene, non faceva che “bullarsi” della villa che aveva comprato in Kenia, completa di servitù locale!

Ricordo anche un esempio di un'altra pratica abbastanza diffusa, che sfociava anch'essa nella integrazione al minimo della pensione spettante: la moglie di un celebre allenatore di calcio, i cui figli frequentavano una palestra insieme ai miei, mi disse una volta che a suo tempo avrebbe avuto diritto ad una pensione, sia pur minima ma integrabile, pur non avendo lavorato un solo giorno in vita sua - neppure nella sua lussuosa casa-  perché tramite i genitori negozianti versava una ridicola somma mensile come contributo sul suo “lavoro dipendente” nel negozio. (esempi analoghi li ho
conosciuti con i “lavoratori” agricoli)

Insomma, continuare a gettare la colpa del deficit previdenziale sui dipendenti pubblici mi sembra perlomeno azzardato!



La mia esperienza personale.
Mi sono dimessa dal mio lavoro (che amavo e svolgevo con passione) per seguire mio marito all'estero. Non c'era possibilità per me di un trasferimento, per cui per qualche tempo ho valutato la possibilità di chiedere un'aspettativa temporanea per motivi di famiglia (senza assegni e senza contribuzione), ma mi son poi resa conto che si trattava di una scelta senza ritorno e ho rassegnato le dimissioni. All'epoca però (ho iniziato a lavorare fuori casa solo dopo cresciuti i figli) avevo maturato solo poco più di 18 anni di contributi, non bastanti quindi ai fini pensionistici con i requisiti che andavano crescendo di anno in anno più di quanto potessero crescere i miei contributi.
Ho pertanto chiesto e ottenuto che i contributi da me versati allo Stato attraverso l'ENPAS/INPDAP venissero riversati all'INPS. Ho quindi potuto chiedere di accedere ai versamenti volontari
per il raggiungimento del minimo contributivo (altra istituzione inesistente all'epoca nel settore pubblico) e una volta versato quanto dovuto e raggiunta l'età anagrafica di 60 anni ho ottenuto la mia pensione (piccola sì, ma giusta per i miei 20 anni di contributi).




P.S. Curiosamente, l'amica di cui ho pubblicato le parole è favorevole al “reddito minimo garantito”,
così simile alla “integrazione al minimo” di chi non ha praticamente versato contributi...




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